Un cavaliere verde contro il cambiamento climatico
Quercus cerris: nome virile. A noi piace. E non solo perché è dritto, compatto e ordinato. Ci piace perché pure lui sta sul podio degli alberi pronti a salvarci col loro lavoro costante d’assorbimento di CO2. Nello specifico: 3,1 t in vent’anni.
Numeri chiari. Sicché, progettando un parco in ambiente adatto, il nostro bel cerro (Fagaceae, caducifoglie) non ce lo dimentichiamo. Ma dove si trova a suo agio quella chioma ovale, qua e là un po’ allungata? Dove la sua corteccia cinerina, dura e spugnosa, trova l’habitat perfetto?
Originario dell’Europa Sud-Orientale e dell’Asia Minore (lì ce ne sono esemplari molto longevi), da noi il cerro si trova bene in Appennino: tra boschi collinari e montagna. Insomma, è di casa pure nella Tuscia. E, purché non ci sia troppo vento, non vuole altro che spazi aperti e raggi diretti del sole.
Benché se viene il freddo (quello sotto lo zero) sa come affrontarlo. Sarà del resto allora già passato l’autunno; e le foglie ormai opache, piuttosto diverse una dall’altra, saranno cadute. Mentre poi spetterà alle ghiande – rosse scuro, legnose e squamose – la riproduzione. Un lavoro di semina in piccoli vasi ricoperti di terra da porre all’aperto e annafiare con regolarità. Piantine messe a dimora dopo circa tre anni dal trapianto in piena terra.
Diventato adulto, all’albero basterà acqua piovana e concimazione a inizio primavera/autunno, ogni due/tre anni. Temendo ancora ristagni e attacchi di funghi/parassiti. Ma da fiero guardiano dell’ambiente.
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