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Un’urna, un parco e un atto d’amore: come diventare albero

Il progetto che ti presentiamo oggi si chiama I AM A TREE e rappresenta l’ultima frontiera dell’architettura funeraria, in un’ottica allargata di generale riqualificazione del verde urbano. Un’idea che cresce da qualche anno e registra sempre più consensi a livello internazionale.

In sostanza, I AM A TREE ti invita a immaginare la sepoltura come un’occasione per dare nuova vita. Grazie a un’urna biodegradabile, alla terra, all’arboricoltura che si cuce nella stessa tela del ricordo delle persone amate.

CONSUELO E QUELL’IDEA VERDE

L’architetto paesaggista Consuelo Fabriani – ormai partner storica di Linea Verde Nicolini e promotrice di I AM A TREE – ha concepito questo progetto nel 2013 (all’inizio, per la verità, con il nome di ARBORVITAE); e da allora è nel suo cuore come una missione da compiere per noi, per le nostre città e per chi non è più tra noi

“Capisci che bello?” dice Consuelo: “Possiamo diventare alberi e – come alberi – continuare a vivere in mezzo ai vivi. Secondo le leggi della natura, in grandi boschi urbani dedicati al ricordo”.

L’amica paesaggista stuzzica anche te dunque a rappresentarti come futuro nutrimento d’una pianta, destinato a farla germogliare e respirare sullo sky-line d’una città (oppure sulle colline del paese dove sei nato, in un comune di montagna o vicino al mare? Perché no?!). E l’emozione – di fronte a questo pensiero – è difficile che non ti prenda.

LA MORTE CI RIGUARDA TUTTI: COME LA NATURA

La morte ci riguarda tutti, del resto. Come d’altronde la natura. Così le domande – anche in modo semplice, vicino alla macchinetta del caffè – s’inanellano subito alle risposte. O, meglio, alle considerazioni più tecniche e/o più filosofiche. Come sempre dovrebbe avvenire quando si progetta il paesaggio.

In profondità, annodando i fili della storia con quelli del futuro, il progresso è sempre stato e sempre sarà un susseguirsi di ‘novità’ in tutti i campi del sapere: scientifico e, più in genere, culturale. Le cose devono andare a braccetto, però. Così la tecnologia che corre all’impazzata oggi torna ad avere bisogno d’un aggancio con le pratiche tradizionali. Anzi, quasi ancestrali in qualche caso.

La sepoltura è un esempio tipico di come – al di là dello specifico aspetto religioso – la necessità di porgere omaggio e salutare i propri defunti sia qualcosa che nessuno vuole eludere, compatibilmente con gli spazi che si hanno a disposizione. 

La sacralità dei cimiteri – però – imporrebbe pure che siano alla lunga ‘vivibili’ (come lo sono davvero forse solo quelli anglosassoni). Perché… Sono inviolabili, certo. E quindi devono essere protetti da muri, cancelli, custodi in grado di tutelare le spoglie di chi è ormai del tutto inerme. Ma ciò, benché chiaro a ognuno di noi, risulta alla resa dei conti davvero compatibile col rispetto della vita e del ricordo stesso? Non genera, invece, delle divisioni invalicabili? E magari produce di fatto – poi – una separazione troppo forte tra chi ancora può e chi non può più, tra il mondo dei viventi e quello ormai raggiunto dalla morte. In luoghi che non sempre sono oltretutto belli come li vorremmo (basti pensare a certe ‘città dei morti’, con palazzine in cemento armato e scale numerate, che più che altro intristiscono le grandi aree metropolitane).

“Ecco…” aggiunge Consuelo Fabriani sorseggiando il suo caffè e buttando fuori lo sguardo verso la Quercia Alleluia che sta nel nostro giardino. “Uno dei primi obiettivi di I AM A TREE è proprio quello di eliminare questa scissione: questo iato che isola i morti da noi e che allontana noi dai nostri cari defunti. In modo confacente all’ambiente dobbiamo invece ricucire questo strappo, potendo ricordare i nostri cari in un luogo bello, perché la bellezza, insieme alla vitalità della natura, aiuta a mitigare il dolore per chi ci ha lasciati”.

PER UN CONCETTO PIÙ CIVILE DI INUMAZIONE

Allora, dentro quel voler far andare a braccetto la tecnologia e le tradizioni, può nascere un concetto più evoluto e sostenibile di sepoltura. 

Piace a tutti l’idea che dalla morte nasca qualcosa di vivo. E cosa c’è di più vivo di un albero che si muove verso il cielo, crescendo e rinnovandosi a ogni stagione? Radicato in un luogo deputato al ricordo, ma anche aperto al fluire dell’esistenza: in costante ricerca di linfa e di ‘restituzioni sociali’. Un albero dedicato e fatto tutt’uno con una persona, ma integrato perfettamente nella città, nei quartieri, nel passeggio e persino nel gioco dei bambini.

I AM A TREE IN ITALIA: OLTRE IL CIMITERO E LA DISPERSIONE DELLE CENERI

In Italia ci sono ancora dei limiti di legge (sui quali magari ci soffermeremo in un successivo articolo), ma l’idea di I AM A TREE è destinata a prendere piede. Non solo per la sua forte fascinazione estetica, ma anche per questioni ecologiche e sociologiche, oltre che per una coerenza progettuale in linea con i rischi ambientali di quest’epoca.

Il concetto è che tu metti le ceneri dentro un’urna bio e poi vai nel parco I AM A TREE e ti comperi un albero, che fa parte del progetto del parco stesso, e lo metti a dimora dove ti viene indicato. Al piede dell’albero è prevista una placca con il nome botanico della specie utilizzata e della persona che, attraverso la sua morte, ha dato vita a questa nuova vita arborea. Molto romantico e molto semplice.

Da una decisione di questo tipo e da un’urna adeguata (e anzi da cento e da mille di queste!) potranno dunque prendere forma veri e propri parchi urbani ‘del ricordo’. Qualcosa di molto diverso dalla dispersione delle ceneri: qualcosa che va ben oltre il concetto di fine. Per abbracciare una filosofia dell’integrazione tra uomo e natura, in un processo di bio-utilità.  

Ma si deve e si può fare di più, in sintonia con progetti di decementificazione per la tutela del suolo (che è una risorsa non rinnovabile) e per la riqualificazione ambientale. Cercando di dare spunto di maggiore rapidità alle pratiche burocratiche e alla realizzazione dei piani nei servizi giardini dei nostri comuni.

Ci servono un po’ di ‘P maiuscole’, per concludere. Quella di PERSONA. Quelle di PROGETTO PRATICO (o pratica sostenibile). Quella di PARCO. Quelle di POESIA&PREGHIERA…

Eh, già: ci sta anche parecchia poesia in quest’idea di PAESAGGIO. La stessa che si può trovare in un bambino che abbraccia il grande Pino dei nonni o l’immensa Magnolia del giardino pubblico; perché magari sarà capitato anche a te, da piccola/o, di perderti a fantasticare sopra cose grandi come una pianta che sfiora le nuvole: come sarebbe essere come lui/lei? Chissà se pensa… Chi sa se mi vede… Chissà cosa prova nell’avere il vento tra i capelli (ops, tra i rami)… Chissà quante storie vissute potrebbe raccontare?!

Dopodiché si deve tornare alla concretezza della vita nelle città, alle necessità della società moderna, ai temi posti dalle religioni, alle agende politiche e ai trend anche in tema funerario… Dopodiché si riparte – ma carichi di convinzione e anche di necessità di poesia – da progetti più dettagliati: metri quadri, posti a disposizione, spazi dedicati agli animali, case cinerarie, cassetti, urne, numero di alberi da piantare… Dopodiché, come necessario, ne riparleremo per focalizzare davvero cosa significa I AM A TREE. Ma questa prima chiacchierata ci ha già conquistati, non ti pare?!

Di stagione in stagione.

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di Linea Verde Nicolini

Line Verde Nicolini
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